
Massimo Faggioli è Professor of Historical Theology presso la Villanova University in Pennsylvania (USA). Si occupato in particolare del Concilio Vaticano II, dei movimenti cattolici e della Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Ha pubblicato presso la casa editrice Morcelliana: Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti (Brescia, Scholé, 2021).
Il testo che segue è stato scritto appositamente per Quarta Vigilia Noctis.
L’elezione di papa Francesco, nel marzo 2013, ha acuito uno scontro interno al cattolicesimo negli Stati Uniti, tra un cattolicesimo che si ispira (talvolta vagamente) al Vaticano II e un’anima religiosa reazionaria nella quale è difficile distinguere tra la difesa di un cattolicesimo tradizionale pre-conciliare e un “cattolicesimo anticattolico” di matrice protestante, libertaria, visceralmente antiromana.
I tentativi di sanare quello scontro interno non sono riusciti, anzi hanno esacerbato le tensioni transatlantiche tra cattolicesimo made in USA e il Vaticano. La visita di papa Francesco e il suo storico discorso di fronte alle sessioni riunite del Congresso il 24 settembre 2015 non è riuscito nel ralliement dei cattolici americani a papa Francesco: gli Stati Uniti erano già diventati la capitale dell’opposizione para-scismatica al pontificato del gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio. La campagna e poi la presidenza Trump (gennaio 2017 – gennaio 2021) avrebbe fatto il resto.
Il culmine di questo difficile rapporto è stato raggiunto durante la crisi senza precedenti dell’estate 2018, in cui il soft power mediatico, assieme all’hard power dei grandi donatori e finanziatori del cattolicesimo americano, si prestava a operazioni spericolate per gli equilibri della chiesa. Con accuse mosse a mezzo stampa (e amplificate dai media cattolici con base negli USA), il 26 agosto 2018 l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio negli Usa (2011-2016), chiedeva a papa Francesco di dimettersi, mentre era in viaggio apostolico in Irlanda. Il capo d’accusa contro il papa (capo d’accusa poi smentito dal rapporto McCarrick nel novembre 2020) era di aver scientemente trascurato la crisi degli abusi sessuali commessi dal clero e di aver consentito al cardinale Theodore McCarrick di ignorare le sanzioni contro di lui [nell’immagine Viganò e McCarrick]. Queste accuse erano viste con simpatia da una piccola ma rumorosa parte della chiesa americana: era il tentativo di far apparire come una crociata morale contro l’omosessualità nel clero, colpevole della piaga degli abusi sessuali nella chiesa, quello che era invece un attacco di tipo golpista al papa. In quelle settimane tumultuose una parte non trascurabile dell’episcopato statunitense e dell’intellighenzia conservatrice cattolica prese le parti di Viganò e di fatto assunse una posizione pubblica sul papato di Francesco che può essere descritto come un pericoloso flirt con lo scisma. Fu un momento di crisi tra il papato e la chiesa negli Stati Uniti senza precedenti, la cui fase parossistica durò fino alla tregua rappresentata dall’udienza concessa da Francesco alla presidenza della conferenza episcopale il 13 settembre 2018.
Il tentativo di defenestrazione di papa Francesco da parte della destra cattolica negli USA faceva parte del tentativo sia ecclesiale sia politico di nazionalizzazione del cattolicesimo, e allo stesso tempo, del tentativo di internazionalizzare il “Make America Great Again” con un progetto di esportazione delle guerre culturali americane in Europa (l’evento del “World Congress of Families” a Verona nel 2019 e il tentativo di Steve Bannon di creare vicino a Roma un “Dignitatis Humanae Institute”). Non era un incidente isolato, ma la conseguenza di una estremizzazione politica e intellettuale del cattolicesimo negli Stati Uniti.
Ora, essendo Donald Trump il più probabile candidato alla presidenza per i repubblicani nelle elezioni del 2024, e aprendosi quindi ora un anno pre-elettorale in cui la chiesa americana dovrà digerire le aperture di papa Francesco e del Sinodo sulla questione LGBT (e in prospettiva del prossimo conclave), sorge spontanea la domanda sul futuro del cattolicesimo negli Stati Uniti, e più precisamente sulle possibilità o i rischi di uno scisma al suo interno.
Quella americana è una chiesa in una situazione che può essere definita di “scisma morbido”. Le relazioni tese tra Francesco e la maggioranza dei vescovi statunitensi sono diventate parte integrante del parallelogramma del potere nella chiesa cattolica – non solo per chi vuole capire il cattolicesimo americano, ma anche il papato. Non è un segreto che i centri più importanti dell’opposizione politica e teologica al papato di Francesco siano situati fisicamente e simbolicamente negli Stati Uniti. L’opposizione a Francesco è stata il tentativo di resistere a un nuovo corso per la chiesa cattolica. Le tensioni all’interno del cattolicesimo americano su Francesco hanno poco a che fare col giudizio su questo e quel punto particolare dell’insegnamento papale – Amoris Laetitia sul matrimonio e la famiglia, o sulla pena di morte. La tensione è frutto della consapevolezza da parte del conservatorismo che l’elezione di Francesco ha segnalato – più che provocato – una crisi del paradigma teologico e politico plasmato nel cattolicesimo americano dai due precedenti papi.
Il rapporto tra l’episcopato americano e il papato di Francesco è più ampio di una semplice questione nazionale (riguardante solo gli Stati Uniti), e non riguarda solo questo particolare periodo (il pontificato di Francesco). Giocherà un ruolo importante nel futuro del cattolicesimo perché è un rapporto complesso che non ha a che fare con due diverse individualità culturali e teologiche, ma con il quadro più ampio di diverse placche tettoniche che si muovono in direzioni diverse nella Pangea della globalizzazione cattolica: il papato romano per una chiesa globale e la placca nordamericana. Ciò che accadrà dopo la fine del pontificato di Francesco nel cattolicesimo americano ci dirà se l’allineamento tra Roma e l’America nella seconda metà del XX secolo sia stato un’eccezione. Certamente il rapporto teso tra l’episcopato degli Stati Uniti e il vescovo di Roma sotto il pontificato di Francesco è stato eccezionalmente difficile nel contesto della storia della chiesa moderna e contemporanea. Resta da vedere se questo rapporto teso entrerà a far parte delle relazioni cattoliche transatlantiche anche per il prossimo pontificato e per i prossimi decenni, e se sarà uno dei segni di una chiesa cattolica romana dove verrà rimodellato il ruolo di vescovo di Roma e ridefinito anche di fronte all’assertività degli episcopati locali alle prese con crisi di sistema difficilmente percepibili a Roma.
Le “cultural wars” hanno assunto la forma di guerre teologiche e hanno spaccato il cattolicesimo in modo molto più profondo e visibile che in altre chiese, portando la chiesa negli Stati Uniti a uno “scisma morbido” che è già parte della vita dei cattolici negli USA: di quali parrocchie diventare membri, a quali scuole mandare i figli, in che parte del paese o dello stato o della città andare a vivere. Sono ormai diventate uno stile di vita: non riguardano ormai solo i rapporti tra destra e sinistra nella politica come nella chiesa, ma anche i rapporti all’interno dello stesso campo progressista nella chiesa. In modo molto più evidente a destra ma non del tutto assente a sinistra, la presidenza Trump e le elezioni del 2020 hanno dimostrato fino a che punto i due partiti ecclesiali dei cattolici si sono identificati con la piattaforma dei due partiti politici, piegando una proclamata ortodossia teologica a una ortodossia ideologica, lasciando pochissimo spazio al dissenso argomentato.
Il fronte para-scismatico, ostile a Biden e a papa Francesco, non è più il vecchio conservatorismo cattolico, ma una nuova Vandea che reagisce a quella che viene percepita come una rivoluzione politica e sociale in cui alla questione dell’aborto si è affiancata quella del genere e delle identità sessuali. C’è da chiedersi se alla “American Catholic Revolution” degli anni Sessanta di cui ha scritto lo storico gesuita Mark Massa non sia succeduta una insurrezione, una contro-rivoluzione cattolica: l’elezione del secondo presidente cattolico, Biden nel 2020, rappresenta un episodio, non la soluzione. Iniziata come lotta attorno alla questione sessuale e omosessuale, la contro-rivoluzione cattolica negli Stati Uniti si alimenta anche dall’emergere della questione della giustizia razziale all’interno di un più ampio processo di riesame del modello sociale ed economico americano.
Il nuovo cattolicesimo americano reazionario (che rispetto al corpo della chiesa ha saputo sovra-rappresentarsi nelle stanze del potere politico, giudiziario, economico) si alimenta di un mito della pugnalata alle spalle: la presidenza Biden come il frutto non soltanto dei complotti di George Soros, ma anche delle aperture di papa Francesco. Si può parlare di trumpismo cattolico come un fenomeno di recezione culturale e simbolico nella chiesa del peculiare “magistero morale” di Trump: un presidente che mai come prima nella storia dei rapporti tra Stati Uniti e Vaticano si è contrapposto frontalmente al papa e non sulla base di una agenda laica ma religiosa, neo-costantiniana. L’autorità morale, il prestigio culturale e la forza di coesione del cattolicesimo e delle chiese sono fortemente danneggiate, agli occhi di un paese già in via di secolarizzazione, da un insorgente cattolicesimo anticattolico. Questo tipo di cattolicesimo non ha a disposizione l’opzione di uno scisma di tipo classico (due papi, due curie, etc.), ma ha già dato vita a uno scisma morbido, tipico di questo ordine politico-religioso che non è più quello di Westfalia quando c’erano un sovrano, un territorio, un popolo, e una religione. È lo scisma di un mondo virtualizzato e de-territorializzato, in un universo religioso fatto tutto di minoranze in preda all’angoscia culturale.
La vita intellettuale, spirituale ed ecclesiale del “Vatican II Catholicism” negli Stati Uniti si trova oggi alla ricerca di interlocutori: il vecchio liberalismo cattolico che era definito dalle questioni sociali si articola oggi in una grammatica e in una logica politiche, prevalentemente post-teologico, post-ecclesiale e post-cattolico, nel mercato delle identità in cui il “noi” non esiste più. Questo lascia un vuoto che viene colmato a destra dal neo-fondamentalismo e neo-integralismo “cattolico anticattolico”, tanto in politica che nel dibattito intellettuale. È un processo che continuerà anche dopo Biden, ma che potrebbe essere ulteriormente alimentato da una seconda presidenza Trump.