A PROPOSITO DEL “PAPA EMERITO”

Nell’aprile del 2023 è stato dato alle stampe un volume collettivo, in cui è contenuto un contributo di un autorevole studioso, Carlo Fantappiè, professore ordinario di Diritto canonico e di Diritto ecclesiastico nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre.

 

NÉ PAPA NÉ VESCOVO EMERITO DI ROMA. SUL TITOLO DEL PAPA CHE RINUNCIA

Tutti gli equivoci che si sono generati in dottrina e nell’opinione pubblica sull’esistenza di ‘due Papi’ nascono da una visione teologica e canonistica errata del fondamento sacramentale e dell’istituzione storica del papato. È essenziale evitare ogni concezione sacramentale del papato così come ogni concezione puramente giuridica dell’ufficio. I vari rompicapo teorici e pratici che possono sorgere da ognuna di esse trovano soluzione unicamente attraverso la distinzione e articolazione fra il momento dell’elezione e il momento della consacrazione (o, come avviene più spesso, fra il momento della consacrazione episcopale e quello dell’elezione a Vescovo di Roma).

Per i motivi che ho cercato di esporre, non vedo poi nessuna differenza fra le due denominazioni di ‘Papa emerito’ e ‘Vescovo emerito di Roma’; credo anzi che sia difficile poterla provare tanto in sede teologica quanto in sede canonistica. Posso capire che l’impatto o la recezione sociale dell’uno o dell’altro titolo presso i fedeli o l’opinione pubblica possa assumere caratteri o profili leggermente differenti ai fini di allontanare l’idea dell’esistenza di ‘due Papi’. Tale aspetto puramente sociologico non può essere considerato rilevante o anche semplicemente opportuno. In definitiva, non si eliminano le contraddizioni e gli equivoci gravissimi che derivano da queste due titolazioni del Papa rinunciante, a mio avviso, se non assumendo una decisione drastica ma inequivoca, al fine di evitare ripercussioni dannose al bene della Chiesa: quella di definire il Papa che rinuncia ‘già Papa’, seguìto dal nome prescelto al momento dell’elezione (come accadde per Celestino V che fu definito «olim papa»).

Se si avesse il coraggio di praticare una tale soluzione, essa importerebbe una ricaduta positiva indiretta anche per la corretta presentazione della figura papale in seno alla Chiesa, presso le altre Chiese e nella società secolare. Siamo infatti in presenza, sempre a mio avviso, di un duplice e preoccupante fenomeno.

Da un lato, da almeno due secoli, per un complesso di fattori non esclusivamente religiosi, si è venuta creando in seno alle correnti prima ultramontane, poi intransigenti e, infine, tradizionaliste interne alla Chiesa una idealizzazione del papato fortemente condizionata da dottrine politiche e da ipoteche ideologiche. In altri termini, si è lentamente e progressivamente costruita, e lasciata costruire, un’opera di sacralizzazione della persona del Papa, la cui ultima espressione istituzionale è da rinvenire nella beatificazione di quasi tutti i Pontefici del Novecento. Dall’altro lato, a cominciare dagli ultimi Papi, sta emergendo nell’opinione pubblica un’altra idea non meno rischiosa: quella del Papa figura carismatica per la Chiesa e per la società.

Ora, le conseguenze dell’una e della altra tendenza convergono negativamente verso forme di mitizzazione della persona papale, le quali sono in forte contrasto rispetto alla secolare tendenza del diritto canonico, forse più della stessa teologia, di ridimensione la ‘persona’ del Papa e di esaltare l’‘ufficio’ da lui chiamato a ricoprire.

Si dimentica, da troppo tempo, che il diritto canonico è stato uno dei più potenti motori della desacralizzazione della figura papale nel medioevo, avendo fissato in modo chiarissimo la distinzione fra persona e ufficio, e avendo affermato il principio che non è la persona bensì l’ufficio da considerare santo.

La ‘santità’ dell’officium o del ministerium intende sottolineare la rilevanza sia spirituale che giuridica delle funzioni papali e, al tempo stesso, mettere in evidenza che i difetti e le debolezze della sua persona sono da presupporre come propri della condizione umana.

A mio avviso, il fatto che il Papa che rinuncia non sia più Papa in nessun modo, né Papa né Vescovo emerito di Roma, sta a significare che l’istituzione papale rappresenta la più completa testimonianza della diaconia nella Chiesa, espressa nella qualificazione classica del Romano Pontefice quale «servus servorum Dei», da Gregorio Magno in poi. La giusta preoccupazione di tutelare i diritti del rinunciante dal punto di vista materiale e spirituale non deve minimamente scalfire il significato unico del ministero petrino.

 

Il testo è tratto dalla conclusione del contributo di Carlo Fantappiè, Né Papa né Vescovo emerito di roma. Sul titolo del Papa che rinuncia, pp. 337-349, in La sinodalità nell’attività normativa della Chiesa. Il contributo della scienza canonistica alla formazione di proposte di legge, a cura di Ilaria Zuanazzi, Maria Chiara Ruscazio, Valerio Gigliotti, Modena, Mucchi, 2023 (Collana Un’anima per il diritto, 7: diretta da Geraldina Boni). Parte II: La sinodalità in atto: il contributo alla formazione di proposte di legge. Sezione III: Contributi alla proposta di legge sulla rinuncia del Papa.

Sull’argomento lo studioso si era già pronunciato autorevolmente in precedenza: Papato, sede vacante e “papa emerito”. Equivoci da evitare, in http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350457.html del 9 marzo 2013; Riflessioni storico-giuridiche sulla rinuncia papale e le sue conseguenze, in «Chiesa e Storia», 4 (2014), pp. 91-118 (poi anche in Id., Ecclesiologia e Canonistica, Venezia, Marcianum Press, 2015, pp. 359-398).